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Le trasformazioni del corpo che prendono forma in adolescenza richiedono sempre un importante lavoro psichico. Quale e perché?

In questa fase di vita, il passato e il futuro acquisiscono significati diversi, a tratti ambivalenti: il desiderio di autonomia e del “nuovo” si accompagnano al timore di inadeguatezza e al bisogno di rassicurazioni. Spesso convivono l’entusiasmo verso il domani e l’incertezza di prospettive. L’adolescente e il giovane adulto, in una fase di vita ‘sensibile’ alle e nelle relazioni con gli altri, possono trovarsi in una condizione faticosa connessa al percepirsi diversi.

Mai come in adolescenza è determinante l’esigenza di sentirsi “normali” e ogni semplice, anche solo parziale, diversità viene vista e vissuta come un’imperfezione insostenibile a livello emotivo.

Il vissuto di “essere diversi” può derivare dai continui controlli medici, dai periodi di ospedalizzazione, dalla necessità di rinunciare o rimandare esperienze sociali e di vita. Spesso questo vissuto deriva anche da un’immagine corporea caratterizzata da eccessiva magrezza e dalla necessità di dover assumere la terapia farmacologica anche in pubblico. Se ci si guarda allo specchio può capitare di voler essere un po’ diversi e per questo spesso si interviene sul proprio corpo alterandolo e modificandolo.

Si pensi, ad esempio, ai piercing, ai tatuaggi o al colore dei capelli. Fintanto che le alterazioni del corpo sono frutto di una scelta personale, siamo all’interno di un percorso di crescita fisiologico, ma quando derivano dalla malattia significa che sono subite passivamente, che non sono state scelte e dunque può essere faticoso, se non a momenti impossibile, accettarle all’interno del proprio sé. Si pensi ad una cicatrice, agli effetti collaterali di alcuni farmaci, ad un catetere venoso centrale a lunga permanenza, caratteristiche di un corpo che possono condurre allo sperimentare sentimenti di vergogna, che possono esporre alla curiosità altrui e alla necessità di raccontare la propria esperienza.

La società influenza le persone, soprattutto i giovani, con stereotipi sociali che spingono verso un’ideale di bellezza poco realistico e irraggiungibile e questi paragoni fanno sentire inadeguati. I mezzi di comunicazione veicolano rappresentazioni di perfezione corporea: fisici tonici e palestrati sono i modelli attesi e reputati “normali” oltre che scontati. In questo modo è facile che prendano forma diverse emozioni, paura del rifiuto e della non accettazione, senso di inferiorità e stigmatizzazione, accompagnati al desiderio di nascondere il proprio corpo.

Può accadere che problemi e preoccupazioni normalmente vissuti nell’adolescenza appaiano o vengano percepiti ancora più gravi nelle persone con Fibrosi Cistica. Imbarazzo, vergogna e disagio possono far attuare differenti strategie e compromettere una condizione già fragile e vulnerabile.

Non affrontare i problemi, fingere di non essere malati e, rispetto al proprio vissuto corporeo, cercare di mascherare la propria magrezza comportano un dispendio di energie, spesso sterile, il più delle volte controproducente che traghettano verso situazioni complesse e di non facile gestione.

Il desiderio di una maggiore indipendenza può entrare in conflitto con le necessità della condizione clinica: essere guidati, sostenuti oltre che aiutati sia dall’entourage familiare sia sanitario, permette la transizione all’età adulta senza ulteriori pesi e scompensi dal punto di vista psicologico.

Esser guidati e sostenuti non significa essere controllati e assillati, ma accompagnati con affetto e discrezione, per sapere che non si è soli nel percorso di crescita.

Un’eccessiva attenzione da parte dei genitori in un momento in cui si ricercano autonomia e indipendenza può essere addirittura vissuta come atto umiliante ed è proprio per questo che è importante ristabilire nuovi equilibri e nuove distanze familiari, anche con l’aiuto dei propri curanti.

La percezione del proprio vissuto corporeo può determinare e condizionare in maniera importante la qualità di vita e l’aderenza alle cure. Inoltre, cure, compliance e indice di massa corporea (BMI) sono in stretta correlazione. Allora risulta fondamentale aprire un dialogo sul ‘come ti vedi’, ‘come vorresti vederti’, cosa è possibile offrire’ in ambito dietistico e nutrizionale per supportare ogni persona. Sapere di poter affrontare l’argomento e di poter attuare un confronto e un dialogo nella ricerca di strategie utili non solo fa sentire meno soli, ma crea un aumento dell’autostima nella percezione di sé, una ‘auto-determinazione’, dunque una migliore qualità di vita. Anche la figura dello psicologo in questi casi può essere funzionale, perché può mediare e facilitare la comunicazione, in particolare dei vissuti e dei bisogni più profondi, fra il giovane paziente e i medici rispetto a nuove esigenze e nuove richieste. Sviluppando una buona autostima si impara, inoltre, a gestire il proprio stato di salute in modo maggiormente autonomo e quindi a scegliere le modalità comportamentali più affini alla propria storia di vita, soprattutto in maniera consapevole e adulta.

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