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Gli attuali dati demografici e clinici sulla Fibrosi Cistica dimostrano che l’immagine della malattia è molto cambiata negli ultimi vent’anni.

La sopravvivenza è notevolmente migliorata, nuovi farmaci mutazione-specifici stanno cambiando le prospettive terapeutiche e molti pazienti godono di una buona qualità della vita. Parallelamente a questa prospettiva, la Fibrosi Cistica mantiene ancora una identità fortemente minacciosa con le sue caratteristiche di malattia genetica, ereditaria, cronica, da curare con un piano terapeutico ancora molto complesso, time consuming.

La malattia rappresenta, quindi, una presenza fortemente “intrusiva”, una realtà carica di sfide che hanno un profondo impatto sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie.  Ecco, quindi che in generale le malattie croniche appaiono avere un importante impatto psicologico, sia sull’individuo che ne è affetto, sia sul suo contesto sociale. Infatti, le patologie croniche devono diventare parte della quotidianità del paziente e della sua famiglia, al fine di garantire una migliore gestione e la massima compliance con i trattamenti medici e le terapie farmacologiche. Numerosi studi evidenziano la maggiore incidenza di disturbi d’ansia e dell’umore, fino ad un maggior rischio suicidario nei pazienti affetti da patologie croniche rispetto a campioni normativi. Dato che ci deve far riflettere sulla relazione tra malattia e benessere psicologico.

Sono la continuità e la pervasività che caratterizza le malattie croniche a costringere chi ne soffre ad un processo continuo di ridefinizione della propria identità personale, identità intesa come un senso generale di continuità e di valore di sé nel tempo e nello spazio (Breakwell, 1986) oltre che sociale (intesa, invece, come l’insieme di sentimenti e caratteristiche che un individuo prova e si attribuisce nel considerare la propria appartenenza a specifici gruppi sociali – Tajfel, 1981). Tra le numerose ricerche presenti in letteratura che approfondiscono queste tematiche, ci soffermiamo sugli studi di un autore, Charmaz, il quale ha messo in evidenza come una persona affetta da patologia organica, per avere un senso di realizzazione personale soddisfacente (ovvero sviluppare un buon senso di Sé), debba elaborare strategie utili principalmente a mantenere la malattia “contenuta e invisibile” e cioè sviluppare delle modalità che gli consentano di sentire un buon controllo sulla stessa, mantenendo i sintomi e le limitazioni funzionali il più possibile contenute e non evidentemente riconoscibili, ma anche riuscire ad adattarsi all’incertezza e a perseguire obiettivi di indipendenza. Tre obiettivi importanti da attuare con strategie individuali, in quanto le priorità sono individuali. Riuscire a “adattarsi all’incertezza”, sfruttando a pieno le proprie risorse nei periodi di benessere, ma anche riuscendo a ritirarsi nelle fasi di ricaduta per poi essere pronto di nuovo a recuperare una volta superata la fase critica, e questo nel succedersi ciclico della malattia richiede risorse di dinamicità e strategie di visione a breve, medio oltre a lungo termine. Se la persona vuole perseguire obiettivi di indipendenza, deve prima o poi poter rivelare la propria condizione fisica alle persone con cui ha a che fare quali amici, colleghi o il partner, e quindi “fare a meno della sua apparente normalità”, rischiando rifiuti, incomprensioni e conflittualità.

Di fronte a questi aspetti la letteratura scientifica sulle malattie croniche ha messo in evidenza due modalità prevalenti di reazione e di comportamento. La prima è una reazione di “minimizzazione-evitamento”, secondo la quale il paziente mostra scarso interesse diretto sulla malattia, sulle variazioni dei sintomi e sulla necessità di prendere iniziative. Un’altra modalità, invece, che può essere definita come “vigilanza” è tipica della persona che sembra stare costantemente all’erta, focalizzando la sua attenzione sulla malattia e sugli effetti psicosomatici di questa, notando minime variazioni del suo stato fisico, parlandone dettagliatamente e mostrandosi costantemente preoccupato. Naturalmente all’interno di ognuna delle due modalità – evitante o vigile – ci saranno delle gradazioni minori o maggiori di attuazione da persona a persona, ovvero ‘volumi’ più alti o più bassi di attuazione. Questi meccanismi possono essere funzionali/disfunzionali a seconda delle fasi di malattia e dell’uso rigido degli stessi.  

Affrontare una malattia cronica rappresenta dunque un grosso peso emozionale ed è riconosciuto come fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche quali ansia e depressione. I pazienti in alcune situazioni sperimentano una perdita di indipendenza e avvertono un senso di isolamento. La loro percezione negativa della situazione influenza, inoltre, anche la loro aderenza terapeutica.

L’impatto della Fibrosi Cistica sulle funzioni psicologiche è stato oggetto di numerosi studi, il più rappresentativo dei quali è il TIDES (The International Depression Epidemiological Study). I dati italiani provengono da 13 centri (6 al Nord, 4 al Centro e 3 al Sud), per un totale di 1.178 pazienti e 836 genitori arruolati. Sono stati utilizzati i questionari HADS (Hospital Anxiety and Depression Scale) e il CES-D (Center for Epidemiologic Studies Depression Scale). Dai dati emerge un divario Nord-Sud sia per l’ansia che per la depressione parentali, probabilmente legato alle differenze sociali, economiche (soprattutto la disoccupazione) e culturali, che rendono la popolazione meridionale più fragile. Le madri, in particolare, sono più suscettibili rispetto ai padri, soprattutto al Sud, dove la figura materna è ancora centrale nell’organizzazione famigliare. L’ansia è più frequente nelle pazienti di sesso femminile e nei pazienti più grandi; in questi aumenta anche la depressione, per la maggiore consapevolezza della loro situazione clinica.

I dati a livello internazionale (Quittner et al., 2014), invece, hanno evidenziato un elevato rischio di sviluppare sintomi di depressione e ansia con una probabilità risultata 2-3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. In particolare, è stata rilevata la presenza di sintomi depressivi nel 10% degli adolescenti, 19% degli adulti, 37% delle madri e 31% dei padri. Evidenziata, inoltre, la presenza di sintomi ansiosi nel 22% degli adolescenti, 32% degli adulti, nel 48% delle madri e 36% dei padri. Inoltre, è stato evidenziato come sintomi di sofferenza psichica siano associati a riduzione del funzionamento polmonare (del FEV1), diminuzione della massa corporea, minor rispetto delle prescrizioni mediche concordate, peggioramento della qualità della vita e aumento del numero di ospedalizzazioni. Tali dati hanno accresciuto la sensibilità e l’attenzione della comunità scientifica sul tema della salute mentale e sull’inevitabile condizione di stress che si associa ad una patologia ad alta complessità quale la Fibrosi Cistica. In tal senso, nel 2015, la Fondazione Americana per la Fibrosi Cistica (CFF) e la Società Europea per la Fibrosi Cistica (ECFS) hanno pubblicato le linee guida per lo screening ed il trattamento di depressione e ansia in Fibrosi Cistica, sottolineando la necessità di sostenere pazienti e genitori attraverso interventi preventivi, educativi e supportivi. Importante dunque, per il benessere delle persone, non solo affrontare l’argomento, ma anche intervenire prontamente in maniera da agevolare un processo personale di miglioramento della propria qualità di vita e di mantenimento di una sufficiente serenità in una visione prospettica di vita.

Bibliografia
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