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Il bisogno di socializzazione di ognuno trasportato nel mondo web permette di viverne in modo intenso e significativo tutti gli aspetti positivi.

Oggi si può rimanere in contatto in tempo reale senza più limitazioni geografiche o problemi di costi: con Skype si può parlare e vedere un amico che abita lontano, con Instagram si possono trasmettere le immagini del proprio “qui ed ora” a qualcuno che si trova a migliaia di chilometri di distanza. I social permettono di ampliare il giro delle conoscenze, acquisire nuove conoscenze, esplorare nuove amicizie e contatti, magari selezionandosi reciprocamente in base alle preferenze musicali o alla passione per uno scrittore, uno sport, un artista o il personaggio di una saga. Sono attuali, utili, disponibili… e tanti! Basti pensare che l’elenco dei social network più famosi in Italia, e nel mondo, ne vede almeno una ventina! LinkedIn, Instagram, Twitter, Facebook, YouTube… Fra le molte piattaforme sociali rilevanti sembrano quasi ‘ausili obbligati’, se non si vogliono perdere delle opportunità o la possibilità di essere ‘sul pezzo’, per usare uno slang! Ma oltre i già citati si trovano anche Snapchat, Google+, Xing, Renren, Disqus, WhatsApp, Telegram, Tumblr, Meetup, Pinterest e… ancora! Le piattaforme di social media sono molte e il loro utilizzo è anche legato ‘alla moda del momento’ e il ‘contagio sociale’: il passa parola sull’utilizzo di uno o dell’altro è un potente messaggio comunicativo in grado di fidelizzarne l’utilizzo. A volte, poi, se ne utilizzano più contemporaneamente, insieme, prediligendone una cerchia alla quale si resta ‘legati’ e quotidianamente connessi sia per bisogni comunicativo-relazionali sia per networking.

Social e chat rappresentano veri e propri luoghi di incontro, spazi di condivisione e comunicazione fatta per lo più da immagini, frasi brevi e dirette, hashtag in cui si mette in gioco la propria immagine e la propria identità digitale. Spesso si fa per curiosità, ma anche per noia, per imitazione, perché tutti gli altri lo considerano normale, perché si sente il bisogno di essere accettati dal gruppo dei coetanei, per paura di essere esclusi, per ricevere approvazioni e like.

Proprio questa straordinaria velocità di contatto e accessibilità senza limiti ha comportato la presa di coscienza di molti aspetti negativi, francamente problematici, connessi alla socializzazione virtuale. Il troppo, infatti, stroppia! Gli aspetti di privacy spesso vengono completamente ignorati e le persone, a volte in maniera un po’ semplicistica, banalizzano tale aspetto, come poco importante o non connesso a quanto stanno ‘postando’. Alcuni aspetti sono poi appunto pericolosi. Il primo di questi, particolarmente problematico, è rappresentato dal bisogno di essere visti, fino a sconfinare nel narcisismo quasi patologico, tratto assai frequente nel nostro contesto socioculturale, fortemente connotato dal bisogno di visibilità pubblica, tanto che alcuni autori definiscono la contemporaneità come “era del narcisismo”. Un altro problema frequente è che molti ragazzi si trovano coinvolti nel fenomeno del sexting, termine inglese nato delle parole ‘sex’ e ‘texting’, che sta a significare l’atto di condividere messaggi, immagini e/o video dal contenuto connotato sessualmente, in modo più o meno esplicito. Questa pratica ha pesanti ricadute proprio sulla dimensione della socializzazione: da una parte trovarsi al centro dei commenti negativi conseguenti alla pubblicazione di proprie immagini sessualizzate potrebbe comportare ansia, vergogna e ritiro sociale; dall’altra contribuisce al diffondersi di un’altra emergenza, il cyberbullismo, che rispecchia le medesime caratteristiche del bullismo presente nella vita reale ma ne amplifica la diffusione e le conseguenze in funzione dell’anonimato che la rete garantisce al bullismo in forma virtuale. Inoltre proprio essendo una variabile sommersa appare ancora più pericolosa in quanto non ‘praticata’ solo dai ‘bulli abituali’, ma in grado di reclutarne di nuovi che, proprio in virtù dell’anonimato, ‘legalizzano’ comportamenti e atteggiamenti aggressivi e squalificanti. Da non dimenticare poi che i social possono essere ‘veicolo’ di diffusione di notizie false, tendenziose o ingannevoli, note con il termine inglese ‘fake news’, articoli contenenti informazioni quando va bene inventate, ma quando va male addirittura dannose perché spesso riguardanti la salute o l’alimentazione. Apparentemente l’intento di questi autori è il guadagno grazie alla condivisione ai propri contatti, ma il sottobosco è l’intento di disinformare, attaccare e creare scandali tramite internet, ovvero i media sociali sono più difficilmente arginabili nella diffusione, a causa della loro caratteristica intrinseca di ‘velocità’, rispetto alla stampa. Non che prima le fake news non esistessero, anzi. La nostra storia ne è disseminata di esempi e con gravi conseguenze. Esempio ne sono la grande bufala della borsa valori in epoca napoleonica o il più recente caso delle finte armi chimiche irachene del 2003. Infatti, nel 1814 bastò la notizia della sconfitta e della morte (in realtà falsa!) di Napoleone data in una locanda da parte di un uomo vestito da ufficiale a creare, sui mercati di allora di Londra, un effetto boomerang di investimenti sbagliati e di vendita di titoli governativi con gravi conseguenze finanziarie, fino a giungere all’arresto totale, della borsa valori dell’epoca. O, appunto, creare grande preoccupazione, a inizio degli anni 2000, il discorso del Segretario di stato del Presidente Bush sulle presunte fiale di antrace e la possibilità di un attacco chimico-batteriologico del regime iracheno, notizia inventata da un ingegnere chimico iracheno appunto che, in seguito, dichiarò di aver inventato tutta la questione complottistica. Esempi storici e passati alla storia, ma anche i ‘genitori’ delle moderne modalità di ‘seminare’ falsità con conseguenti ripercussioni psicologiche oltre che di profitto. Se si tratta poi di notizie connesse alla salute, oltre a essere più grave, occorre prestare ancora più attenzione. Le fonti potrebbero essere sbagliate, non scientifiche, occorre fare controlli incrociati tra quanto proposto dai media e fonti, appunto, affidabili oltre che esperte e verificare l’autore della notizia, le sue ‘credenziali’ e capire se è invece un intermediario. Spesso, infatti, si trovano notizie rispetto il cibo e l’alimentazione, quando ci sono complicanze connesse a una malattia come la Fibrosi Cistica, quindi gastro-intestinali, o connesse al fegato, osteoporosi o patologia del pancreas, come ad esempio il diabete mellito. Occorre utilizzare ‘ancora di più’ una visione ‘critica’ di contenuti e fonti, non solo per questioni di patologia, ma perché la ‘personalizzazione delle cure’ (e del cibo/quantità da introdurre) è un aspetto importante e ormai consolidato in ambito scientifico. Occorre ricordare che è facile reperire informazioni: con l’introduzione dello smartphone e della possibilità di poter pubblicare molto velocemente, dopo aver registrato, video e affini in pochi secondi, rende più facile la diffusione da parte di chiunque, dei quali non si conoscono le motivazioni e i fini. Occorre diffidare, dunque, di contenuti ‘dubbi’, soprattutto rispetto ai video. E’ utile verificarne la provenienza, ovvero da quale social blog o sito web oltre che la fonte.

Se si cerca su YouTube “Fibrosi Cistica” compare un lungo elenco ove si trovano riferimenti alla malattia, a sintomi e spiegazioni di esperti e di persone affette, ma anche a film, challenge, fanpag e tutorial. Negli ultimi mesi poi, in concomitanza di Covid-19 e la connessa quarantena, sono notevolmente aumentati i video-appelli all’uso di precauzioni, i famosi dispositivi di protezione individuali (DPI) tipo la mascherina, e alla tutela della salute, soprattutto delle persone in condizione di fragilità o immunosoppressione. Naturalmente, anche in questo caso bisogna fare attenzione alle ‘fonti’. E’ bene anche ricordare che, rispetto la Fibrosi Cistica, avere la stessa diagnosi non significa avere la medesima manifestazione di malattia: ognuno è diverso e quello che è idoneo, prescritto, adeguato per una persona non è detto che sia ‘sano’, ‘utile’, ugualmente utilizzabile per un altro.

Per gli adolescenti con FC l’uso di Facebook può rappresentare un valido strumento e una soluzione ‘alternativa’ quando non è possibile mantenere la propria quotidianità, poiché permette di superare l’isolamento che spesso la FC impone e di condividere la propria condizione con gli altri. Questo dato è stato esposto da un recente studio svolto in collaborazione con il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Trieste che ha analizzato l’uso che un gruppo di 212 giovani fra 13 e 24 anni di età con patologie croniche faceva di Facebook (FB) sia nei periodi di ricovero ospedaliero, cioè durante le fasi acute, sia in quelle non acute della malattia. Le patologie selezionate per lo studio includevano oltre la Fibrosi Cistica, anche pazienti con Morbo di Crohn, Diabete Mellito di tipo 1 e Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI). Il suddetto studio è stato pubblicato da Archives of Disease in Childhood, una rivista del gruppo British Medical Journal, ed è stato condotto dal team de Dott. Egidio Barbi, Direttore della Struttura Complessa Clinica Pediatrica – Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale Infantile triestino. Dall’analisi dei questionari è emerso che tra le fasi non acute e le riacutizzazioni della malattia i tempi di permanenza su FB aumentavano esponenzialmente, passando da 5 a 11 ore… giornaliere! Lo studio ha messo in luce come FB venga utilizzato con lo scopo di raccogliere informazioni sanitarie relativamente sicure, come ad esempio un confronto sull’andamento delle terapie, ma senza coinvolgere medici e infermieri del Centro di Cura, percepiti, in base ai dati emersi, come ‘un limite’ alla propria indipendenza. Vero è che chi si racconta si sente meno solo, dà voce al proprio dolore e alle ‘mille paure’. Condividerli, a livello psicologico, trasforma in speranza e rende tutto più ‘accettabile’. Secondo gli esperti i benefici sono diversi.  Citando lo studio e il mezzo utilizzato, possiamo affermare che i post sui social diventano un modo per mantenere un contatto con gli amici e averne di nuovi, per mettersi a nudo in un momento di fragilità, evitare di isolarsi e ricevere messaggi di forza e di sostegno. Ma diventano anche uno mezzo per far circolare informazioni su diagnosi, cure e terapie.  Raccontarsi alla propria “famiglia digitale” può avere un forte potere terapeutico, crea una rete di supporto e risponde a un’esigenza fondamentale per ognuno di noi: il riconoscimento. Un aspetto che diventa centrale quando si attraversano difficoltà e disagi a livello emotivo e fisico. E forse proprio nella situazione di ‘difficoltà’ si può rintracciare la motivazione, ma anche la spinta a scrivere, cercare, contattare, ma ricordando che, nei momenti di maggior benessere, poter sostenere rapporti vis a vis, con i coetanei, gli amici, famiglia e, perché no? Con i curanti, è fondamentale. FB non può sostituire la relazione né l’empatia che si può provare nell’essere in relazione, ma neanche sostituire il ruolo dello psicologo quando si hanno bisogni profondi, paure e preoccupazioni ai quali ‘dar voce’ in un contesto adatto.

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