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In adolescenza la costruzione e il mantenimento di rapporti sinceri, profondi, continuativi è un passaggio, a volte, non semplice e lineare.

Rappresenta un compito, insieme ad altri, importante. In alcuni casi, ci si trova di fronte ad amicizie di lunga data: “Siamo compagni dalla scuola materna… ci conosciamo da dieci anni!!” che proseguono nel tempo, oppure si spezzano e si perdono a causa di crisi e conflitti generati da differenti stili di vita, esperienze, incomprensioni. Capire i motivi che hanno portato alla rottura, riflettere sulle proprie – ed altrui – responsabilità ed elaborare il dolore, la rabbia, la nostalgia: questo è il modo che permetterà di aprirsi a nuove relazioni e, soprattutto, liberarsi dagli ‘scheletri’ del passato. Fino alla pubertà gli spazi di socializzazione sono quelli “offerti” dai genitori o dalla scuola che, spesso, sorvegliano, selezionano, indirizzano e controllano la qualità degli incontri e delle esperienze. Il vero gruppo “creato” dall’adolescente è invece il gruppo spontaneo, che si organizza  secondo scelte che delineano un campo, nello stesso tempo definito e mobile, dove chiusure e aperture al nuovo e ai nuovi componenti si alternano. È un gruppo diverso dai gruppi strutturati, come la classe o gruppi sportivi, anche se può nascere da incontri che avvengono in quegli ambiti.

Il gruppo, quindi, assume un significato di superamento dell’essere bambini, diventa luogo di sicurezza affettiva, di intense esperienze emotive, di costruzione di una nuova identità, oltre che di scambi.

Il quadro si arricchisce di una maggior complessità, poiché in tale panorama si collocano anche, e soprattutto, i social network. Infatti, è sempre più comune affidarsi a Facebook, Instagram, YouTube e altri social per intrecciare relazioni sociali. Frequente che tali “contatti” generino delusione, frustrazione o rabbia, a causa dell’assenza di un approccio diretto e autentico, fondato sulla comunicazione empatica e non verbale. Ci troviamo di fronte a giovani che desiderano aumentare il numero di conoscenti, di “amicizie”, riprendendo il termine di FB, creando rapidamente una notevole, ma spesso solo apparente, vicinanza. Proprio perché il mezzo stesso non consente altro. Ciò potrebbe avere significative ricadute e ripercussioni nell’affinamento delle abilità sociali e relazionali, complicando non poco i rapporti umani “faccia a faccia”, in cui il tempo condiviso, l’intimità profonda, la confidenza, il contatto emotivo e l’empatia non vengono vissuti, rischiando di diventare incapaci di stare in un’autentica relazione, soddisfacente e protettiva. Ciò riguarda sia le amicizie sia gli amori: nascono, si coltivano, si allontanano, finiscono, si riprendono, tutto questo sottoposto al filtro della “tecnologia”. Oggi possiamo vederci, parlarci, giocare insieme,  ma la rete non è la realtà e il nostro cervello viene inconsapevolmente “ingannato”: l’azione virtuale regala soddisfazioni apparentemente “confrontabili” a quella dell’azione concreta e, soddisfatta la necessità, l’azione si interrompe. La differenza però esiste: nel mondo reale le azioni e le relazioni hanno, spesso, conseguenze profonde e tangibili, non nascondibili “in un clic”. Il mondo reale quindi non va “dimenticato”, soprattutto in ambito interpersonale.

La scuola rappresenta un luogo in cui i bambini prima, gli adolescenti in seguito, imparano a relazionarsi con i loro pari: è scuola non solo di apprendimento nozioni, ma anche di relazioni. Le esperienze vissute possono essere le più disparate, a seconda del gruppo classe che si incontra, oltre che delle proprie caratteristiche di personalità. Può capitare  che, a causa di pregiudizi, stereotipi, o difficoltà comportamentali, si verifichino atteggiamenti di aggressività e violenza (momentanei o prolungati, come nel bullismo) nei confronti di compagni ritenuti più deboli, problematici, solitari. In circostanze più positive può invece capitare di poter coltivare amicizie sincere e durature. Le relazioni condizionano l’ambiente e l’ambiente condiziona le relazioni, in scambi bidirezionali. Sicuramente la scuola offre delle opportunità diverse per conoscersi, condividere esperienze che rafforzano i rapporti e che possono renderli speciali: gite, escursioni, viaggi, allontanano dalla famiglia e avvicinano ai pari, facendo assaporare il piacere dello stare insieme.

Quando un ragazzo è affetto da una patologia esteticamente invisibile, come la Fibrosi Cistica, prendono forma molti interrogativi all’interno di un rapporto di amicizia o sentimentale: “Devo dirgli che sono malato? Me la sento? Come glielo spiego? Posso fidarmi degli altri o lo andranno a dire a tutti?” A queste domande non seguono risposte uguali per tutti: non c’è una risposta univoca e che vada sempre bene!

Ognuno, in quanto persona e soggetto, deve agire a seconda delle proprie sensibilità, aspettative e caratteristiche di temperamento, nel rispetto dei tempi e dei modi  più funzionali e adeguati per sé.

Qualcuno fa della malattia il proprio biglietto da visita: “Quando conosco qualcuno, un amica o un fidanzato, la prima cosa che deve sapere di me è che ho la Fibrosi Cistica e di cosa si tratta. Io non sono solo la mia malattia, ma comunque essa è parte fondamentale di me…” Altre persone, invece, preferiscono non parlarne, non almeno in prima battuta: “Non voglio essere compatito o considerato diverso, né sentirmi in dovere di dare spiegazioni. Ho diritto alla mia privacy, no? Certo, alle amiche più strette qualcosa ho detto”. Nessuno deve sentirsi obbligato a svelare contenuti di sé, ma neanche è funzionale pensare di tener nascosta una parte della propria vita nel lungo periodo. Avere qualcuno, oltre ai familiari, su cui fare affidamento nei momenti di maggior vulnerabilità, di cui fidarsi,  può essere una grande risorsa. Ognuno di noi affronta dei momenti di difficoltà importanti nella propria vita e poterne parlare con una persona che, per affinità, ci è vicina aiuta sia a sentirsi meno soli, sia capaci di affrontare le situazioni. Poter parlare con un coetaneo delle preoccupazioni legate alla propria salute, farsi accompagnare ad una visita di controllo o ricevere visite durante i giorni di un ricovero possono essere momenti fortemente terapeutici, perché densi di vicinanza emotiva! Svelarsi non solo sotto le vesti di studente, giocatore di calcio, figlio, amico di, ma anche di malato e paziente, mette nelle condizioni di essere capito, aiutato e coinvolto con modalità più adeguate. Queste decisioni non sono facili da prendere, a volte possono esporre a dubbi, timori, delusioni e richiedono un percorso  fatto di “tanti scalini” all’interno dei quali l’equipe curante, in particolare lo psicologo del Centro, può accompagnare verso la scelta più consona e che farà emotivamente stare meglio.

Fonti

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