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Il film “A un metro da te”, attuale e profondamente veritiero nell’esplicitare i vissuti di due teenager con la Fibrosi Cistica, narra dell’impossibilità di avvicinarsi fisicamente, non solo per tutelarsi, ma anche per tutelare l’altrə.

“A un metro da te” affronta il delicato tema della sensibilità per l’altrə, del timore di contagio e la dinamica fortemente conflittuale tra il potere e il dovere, ovvero tra il Cosa posso fare per la mia salute e il Cosa devo fare per la mia salute. È una storia coinvolgente e appassionante, i temi che tratta sono ardui e complessi: la FC, il senso della vita e la morte, che diventa quasi un personaggio descritto dai discorsi che affrontano i due protagonisti e gli amici che li circondano.

La protagonista del film, Stella (l’attrice statunitense Harkey Lu Richardson), ha la FC, utilizza i social media per far conoscere agli altri la FC e frequenta un amico, soprattutto durante i periodi di ospedalizzazione, Poe, anche lui con la FC. Durante un periodo di degenza Stella conosce e si innamora di Will (interpretato dall’attore Cole Sprouse), anche lui ricoverato in ospedale.

Stella ha 17 anni, è determinata, attenta, a tratti ossessiva nell’esecuzione delle terapie; la “paziente modello”, che tutti i curanti vorrebbero. Attraverso le sue “tabelle di marcia” e la sua precisione nelle cure cerca di tenere a bada la FC, ma soprattutto le sue ansie e le paure. Parte delle sue giornate sono scandite dall’uso dei social, dall’assunzione dei farmaci, dalla fisioterapia e dall’ossigenoterapia. Questo è il suo mondo e il suo modo per mantenere un contatto con gli amici, oltre che con il mondo esterno.

Anche Stella si trova a dover affrontare una fase della FC delicata e impegnativa: è in attesa, infatti, degli organi per poter affrontare un trapianto di polmoni. Anche per lei è difficile mantenere un atteggiamento razionale e ragionevole. Di fronte a un lutto, Stella affronta il suo dolore attraverso un gesto ribelle: scappa dall’ospedale per stare con Will anche solo poche ore, nonostante il freddo, i rischi e il pericolo che corre per la propria salute.

Will è meno scrupoloso ad affrontare la sua situazione, meno “compliante”, seppur consapevole del rischio che corre. È ribelle, impulsivo, arrabbiato e, dunque, poco rispettoso delle regole perché vuole sentirsi libero. Libero di agire, libero di rischiare, libero dalla FC.

Will è in ospedale per affrontare la sfida di una terapia salva-vita sperimentale tesa a eradicare un’infezione polmonare molto invalidante e contagiosa. Il ragazzo ha ben presente la sua situazione e cosa rappresenti, per lui, questo tipo di cura. Affronta molto stress, e così sua madre.

I due ragazzi cominciano a conoscersi, trascorrono molto tempo insieme, ma mantenendo fra loro un metro di distanza per ridurre il rischio di infezioni incrociate, potenzialmente fatali. Come nelle migliori trame dei film, con il passare del tempo, i due giovani si innamorano, aprendo, nella loro coppia, un posto scomodo riservato al peso della FC che include, fra le tante variabili, anche il danno che si può arrecare all’altro. L’immedesimazione nei personaggi è facile e i meccanismi di introiezione e proiezione scatenati dal film sono immediate e potenti.

Ogni persona affetta da FC conosce il vissuto di auto-tutela e di tutela dell’altro, ha sperimentato amicizie e conoscenze nel proprio centro di cura, ha sentito il peso dell’angoscia del contagio. Ha sperimentato la paura di contagiarsi e il timore di contagiare qualcuno “di importante”.

La stessa pandemia da Covid-19 apre una riflessione importante sull’impatto psicologico del distanziamento e sulle conseguenze di tale distanza interpersonale. I bambini, gli adolescenti e gli adulti affetti da FC, insieme alle loro famiglie, conoscono il significato dell’uso di mascherine, del “giusto distanziamento”’ e della prevenzione primaria, e lo conoscono da anni, da ben prima dell’avvento della pandemia. In questo ultimo anno e mezzo hanno intensificato, laddove necessario, una pratica di tutela già comune e hanno potuto far capire a chi questa pratica fosse sconosciuta, il senso di limitazione della libertà. Restrizioni, impossibilità e indicazioni sanitarie generano tutela, ma anche, purtroppo, costrizioni: sia applicarle sia subirle/beneficiarne, è faticoso.

Will scopre che la terapia non avrà per lui gli esiti sperati e decide, con estremo dolore, di lasciare Stella per non farla soffrire. Il film termina con la morte del giovane ragazzo che, allontanandosi da Stella, le regala una chance di sopravvivenza affrontando il trapianto senza aver contratto la sua grave infezione. Un gesto d’amore estremo che sancisce la grossa differenza, negli affetti tra le persone, tra il voler bene e il volere il bene dell’altro.

Will e Stella affrontano insieme una sfida difficile se non impossibile: vivere una relazione d’amore che trascende il contatto fisico, amare una persona senza poterla abbracciare o accarezzare. La loro è una storia fatta di distanza fisica ma vicinanza emotiva.

Il film ci riporta all’importanza delle piccole cose, ai gesti quotidiani che diamo spesso per scontati, ma che in realtà non lo sono affatto. Ci ricorda quanto sia importante la libertà: la libertà di movimento e di scegliere dove andare, cosa fare e con chi. Quando si necessita spesso di ricoveri, l’ospedale diventa quasi una seconda casa, un ambiente familiare e gli operatori sanitari assomigliano ad una grande famiglia: affetti, empatia, condivisione delle emozioni e dei momenti di difficoltà uniscono e sanciscono rapporti umani profondi.

Il contenuto del film è, alla fine, un inno alla vita, alla speranza, alla ricerca e alle cure mediche, che sempre migliorano e si affinano per donare ai pazienti una miglior qualità della vita.

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