La dietista: come si gestisce la transizione dal Centro pediatrico a quello adulti?

di: Dott.ssa Assunta Celardo

Come ogni cambiamento, anche questo passaggio nella vita dei pazienti con Fibrosi Cistica può destare preoccupazioni. Cosa cambierà praticamente?

Siamo abituati sin da piccoli ad affrontare dei cambiamenti e ognuno di essi, seppur inevitabile, ci desta sempre preoccupazioni. Lasciare qualcosa di noto e non sapere come possa essere la nuova esperienza crea inevitabilmente delle ansie.

Quando si è seguiti per una malattia cronica, come la Fibrosi Cistica, il Centro di cura diventa come una seconda casa e gli operatori sanitari una seconda famiglia: si è seguiti per tanti anni e la transizione, a 18 anni, ad un nuovo Centro è segnata da mille dubbi e mille paure. Cosa cambierà nella gestione della mia malattia? Come cambieranno le terapie? Come saranno i nuovi medici, fisioterapisti, dietisti e psicologi?

In questo passaggio può essere utile prendere contatti con gli operatori del nuovo Centro di cura anche prima dei 18 anni, così da conoscerli ed esporre i propri dubbi e far in modo che il passaggio possa essere graduale.

Per quanto riguarda le terapie, non cambieranno molto, perché quelle sono condivise nei vari centri, e gli operatori del Centro pediatrico e del Centro degli adulti sono in comunicazione tra loro e discutono dei pazienti, per poter fornire le informazioni necessarie ad ottimizzare le terapie e favorire una sempre maggiore aderenza.

Questo vale anche per i dietisti; con il raggiungimento della maggiore età talvolta cambia anche la routine giornaliera, ci si affaccia al mondo del lavoro o all’Università e possono cambiare le necessità alimentari.

Forse, però, l’unica differenza tra i due Centri è l’approccio al paziente: nel Centro adulti, seppur presenti e informati i genitori, i ragazzi iniziano pian piano a rendersi sempre più autonomi, e anche l’alimentazione, le supplementazioni eventualmente presenti e la terapia enzimatica iniziano ad essere completamente gestita da loro. Anche perché aumenta sempre più il tempo trascorso fuori casa o in compagnia di altre persone al di fuori della famiglia.

Questo spesso spaventa non solo il paziente ma anche i genitori stessi, che temono che i ragazzi non siano in grado di gestire il carico delle terapie, ma pian piano, e ognuno con i suoi tempi, si riesce ad affrontare questi cambiamenti e conoscere nuove persone che li affiancheranno in questo nuovo percorso. Oltretutto, ciò non significa per forza di cosa dover lasciare per sempre chi li ha seguiti fin da piccoli.